Metterei, quindi, al bando da questa lodevole iniziativa assunta dal Circolo (di un libero confronto su orientamenti e percorsi culturali possibili in un contesto come quello prenestino) la paura che qualche intervento possa avere un “taglio politico” e possa essere motivo di preoccupazione o scontro all’interno dell’organizzazione. Essenziali e discriminanti, per un’esperienza di partecipazione nell’ambito di una struttura quale la nostra, che conserva caratteristiche di “non professionalità”, dovrebbero essere solamente la predisposizione o meno ad accettare il confronto ed il dialogo. E dovendo dire la mia suggerisco un possibile percorso di dibattito ed all’iniziativa: la nostra associazione dovrebbe orientarsi di più e meglio verso la conoscenza del territorio, per individuare e salvaguardare le testimonianze del passato ed elaborare strategie per valorizzare il patrimonio archeologico ed ambientale di cui disponiamo. Argomento questo che potrebbe essere una concreta base di lavoro culturale, di studio, di ricerca e di partecipazione. Neppure nuovo, poiché è sostanzialmente quanto si è cercato di fare nel corso della abbastanza lunga vita del Circolo. Ma sempre valido, ed ora nuovamente necessario.
Mi preme, a questo punto, soffermarmi su una questione che ultimamente sta suscitando più di una perplessità in ambito locale: la questione cioè della gestione del piano regolatore nei suoi rapporti in particolare con l’archeologia e con l’ambiente. Ho già accennato come queste questioni, collegate alla gestione del territorio, siano nello stesso tempo questioni di tipo culturale e politico, strettamente intrecciate tra loro. Ma parlarne è un dovere, né deve essere ritenuta un’ingerenza in campi non propri o di esclusiva pertinenza della politica, o degli specialisti. Merito, infatti, del Circolo, negli anni passati, è stato quello di aver partecipato, insieme anche ad altri protagonisti (vorrei solamente accennare alla passione ed all’impegno profusi allora dal dott. Coari, dalla Biblioteca comunale ed altri), alla grande mobilitazione cittadina in favore della difesa e della salvaguardia del patrimonio archeologico ed ambientale locale. Si trattava, allora di far riemergere Palestrina dal baratro nel quale era precipitata a seguito di una lunga stagione (anni sessanta e settanta), all’insegna dell’abusivismo e del saccheggio del patrimonio archeologico, che gravi danni aveva arrecato al patrimonio medesimo, ma anche alla politica ed al costume locali. La qualità dei tre convegni archeologici - cui è seguita la pubblicazione dei relativi atti - realizzati a suo tempo, sono un punto fermo nella storia della salvaguardia del patrimonio archeologico prenestino, e possono essere senz’altro presi come punti di partenza per aprire una nuova fase, sempre sulla scia di quella impostazione. L’iniziativa culturale, sostenuta e promossa dal nostro Circolo, ebbe – tra l’altro - allora la capacità di arrestare la grave deriva del saccheggio del patrimonio archeologico prenestino, e fu coadiuvata dal fondamentale apporto scientifico ed operativo della Soprintendenza, che avevano saputo anch’esse trarre una (sofferta) lezione dalle vicende giudiziarie della seconda metà degli anni settanta (inchiesta sul Quadrilatero). Da allora anche la Soprintendenza non è stata più vista come un potere ostile, magari da circuire per ottenere facili nulla osta di edificazione, ma sempre nemica e da evitare. Anch’essa e stata protagonista della rinascita archeologica e di una nuova identità cittadina, disponibile ad accettare l’apporto dei cittadini e delle associazioni culturali presenti nel territorio, pur nei limiti delle risorse disponibili e delle rispettive competenze. La politica locale ha dovuto trarre le sue conclusioni e si è dovuta progressivamente adeguare. Una delle conseguenze più vistose e positive di questo adeguamento è stata proprio la fine del blocco di potere che aveva favorito la lunga e deleteria stagione dell’abusivismo e delle licenze facili in aree che dovevano invece essere rigorosamente sottoposte alla tutela. La cultura locale, e la politica, credo mai siano state così vicine ed interagenti come quando il cambiamento amministrativo dei primi anni novanta aveva lasciato sperare che una nuova strada fosse definitivamente stata imboccata, soprattutto nel modo di concepire la città nei suoi rapporti con l’archeologia. Segno questo che i linguaggi della cultura e della politica possono incontrarsi, e non necessariamente stare sempre su barricate contrapposte, come troppo spesso avviene e come in più di qualche caso fa comodo che così sia.
Ha cominciato ad affermarsi in quegli anni la convinzione che città moderna (o storicamente determinata) ed archeologia (vecchia o recente), non dovessero più essere l’una nemica dell’altra, che non avrebbero più dovuto danneggiarsi (fagocitarsi) a vicenda, ma potevano insieme concorrere, con autonomi percorsi a creare una sorta di “nuova città”, nella quale rispetto e valorizzazione delle testimonianze del passato e possibilità di risiedere fossero compatibili. Su questa linea importante è stata l’azione del Circolo culturale, con le sue numerose pubblicazioni specifiche, con i “Maggio in archeologia (che sono stati spesso occasione per dare per la prima volta in pubblico notizia di ritrovamenti archeologici)”, con conferenze ed incontri. Sempre nella convinzione che ciò servisse a rafforzare l’acquisizione culturale di cui dicevamo, e cioè che città ed archeologia potessero coesistere ed aiutarsi a valorizzare se stesse.
La politica locale, componente fondamentale di questo binomio, progressivamente però sta venendo meno all’impegno assunto in quel periodo. Con il passare degli anni sempre di più e sempre in modo più invasivo sta ricadendo nelle logiche del passato, con rinnovata voracità. E si arriva ai casi dei giorni presenti, che molto allarme stanno suscitando tra i cittadini. Alla concessione cioè di licenze discutibili in aree in cui le testimonianze archeologiche rinvenute lasciavano immaginare una diversa sistemazione e un diverso esito urbanistico, alla compromissione lenta ma inesorabile dei quartieri più antichi della città (con discutibili e non controllati interventi di recupero e ristrutturazione), all’attacco alle bellezze del paesaggio. Sembra di essere tornati all’anno zero. E’ preoccupante, inoltre, che quanto sta succedendo non alimenti un forte dibattito – come sarebbe lecito attendersi - né tra le forze politiche, siano esse di maggioranza o di opposizione, ma neppure tra le associazioni (le molte associazioni) presenti in città. I destini della città (mi si passi questa espressione forte) diventano nuovamente appannaggio della speculazione edilizia, la più brutta ed invasiva, e la cultura non se ne accorge, non prende posizione, non fa sentire la propria voce, sicuramente non immediatamente decisiva, ma in grado di rappresentare uno spartiacque e suonare come campanello d’allarme per la politica.
Credo che il dibattito che si vuole aprire all’interno del nostro Circolo debba vertere anche su queste questioni, che sono il vero “respiro culturale”, non provinciale e straordinariamente qualificante per la nostra città. Senza pensare di sostituirsi alla politica, ma neppure senza ignorare quanto sta avvenendo, sapendo che un tale dibattito può sicuramente diventare il traino principale per una ripresa civile ed anche economica della realtà cittadina. Con l’archeologia Palestrina ha sempre parlato e può continuare a parlare al mondo, con gli scempi e la cementificazione a pochi e ristretti interessi.
Palestrina, 25 Maggio 2012
V. P.
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